La battaglia per il mondo multipolare passa per la cultura (2 parte)
L’importanza del dibattito: la “rete militante” di librerie e associazioni
Uno degli aspetti su cui si deve necessariamente migliorare è quello del “dibattito”. Con questo concetto vogliamo esprimere qualsiasi possibilità di discussione culturale e politica, volta principalmente ad una sempre maggiore inculturazione, in particolar modo dei giovani. Partiamo dal presupposto che su questo tema siamo carenti, e che quindi bisogna aumentare in modo notevole sia il livello del dibattito che moltiplicarne il numero. Ogni pretesto e ogni mezzo devono essere impiegati, nell’opera di creazione e moltiplicazione delle occasioni di battaglia culturale. Tra i vari escamotage per crearlo, non deve essere esclusa la partecipazione a polemiche pubbliche lanciate dai cosiddetti influencer del globalismo liberal. Essi quando è possibile devono essere utilizzati, proprio in funzione della loro enorme visibilità pubblica. Bisogna sforzarsi di ragionare in ottica diversa. Non si risponde al personaggio per via del suo valore reale o presunto che sia, ma in funzione del fatto che egli può essere un valido mezzo per raggiungere ampi strati giovanili. Non importa se le forze in campo sono asimmetriche,ne abbiamo consapevolezza. Non importa nemmeno che, per forza di cose, la nostra voce si sentirà in maniera meno potente rispetto a quella del nemico. Le nostre posizioni e le nostre idee arriveranno alle orecchie e ai cervelli di tantissimi, che fino a quel momento non sapevano nemmeno della nostra esistenza. Questo è già un notevole passo in avanti. Svelare a migliaia di giovani obnubilati dalla melassa globalista, che esiste una reale e sostanziale alternativa al pensiero unico dominante, questo è quello che conta. La strategia della guerra culturale in atto è basata anche sul presupposto che il sistema egemone confida in un nostro atteggiamento di superiorità – che dal punto di vista culturale è evidente – che ci spinge alla non partecipazione alla polemica. L’errore sta nel credere che prendervi parte, voglia dire legittimare chi l’ha lanciata, e non tenere conto del suo scarso rango, di rischiare di “elevarlo”. Non bisogna avere alcuna paura di sporcarsi gli scarponi. Questo è un errore che chi ha deciso di combattere con ogni mezzo la guerra culturale non deve commettere. Poniamoci come obiettivo quello dell’allargamento del pubblico e non preoccupiamoci di come farlo. Partendo da questo, dobbiamo fare una analisi dei mezzi di diffusione del pensiero e di calibrare, a seconda delle particolarità del mezzo, strategie che siano più magmatiche possibile. Dobbiamo rifiutare qualsiasi impostazione rigida. Chi deve recuperare terreno deve essere spietato nella volontà e utilizzare ogni metodologia. Partiamo con l’analizzare la cosiddetta “rete militante”. Indubbiamente essa rappresenta lo zoccolo duro della diffusione culturale e metapolitica del nostro mondo. Quindi essa non solo va tenuta debitamente da conto, ma innestata sapientemente in una strategia multipolare. Una volta che essa sarà messa nella condizione di fare bene il proprio lavoro, verranno automaticamente diminuiti gli aspetti negativi come la eccessiva frammentazione e la conflittualità. Nel momento in cui la rete militante avrà il suo spazio di azione riconosciuto nell’ottica di una strategia di controffensiva culturale più ampia, verranno meno tutte quelle paure che ingenerano atteggiamenti inutilmente conflittuali. Una volta venuta meno la paura di qualsiasi volontà egemonica di chicchessia, aumenterà la voglia di coordinamento e nasceranno aggregazioni sia durature, che solo su progetti specifici e limitati. Noi ne siamo una prova vivente. Il mondo della cosiddetta cultura non conformista è costituito da una moltitudine di case editrici, librerie, centri studi e associazioni culturali. La frammentazione nel caso dell’attuazione di una strategia comune è tutt’altro che un male, se vi è coordinazione e se si riesce a fare luce sugli obiettivi da raggiungere. Partiamo con le librerie e le associazioni non conformi. Volendo capire come poterci mettere a disposizione nel modo più utile e propositivo, bisogna prima sforzarsi di comprendere le storie e le particolarità di questi soggetti, e fare delle scelte. Non è possibile supportare tutti, ma è doveroso sostenere chi è più simile a noi e chi dimostra le nostre stesse sensibilità. Sorreggere chi è a noi consimile senza dover necessariamente boicottare chi non condivide interamente il nostro pensiero. Ingenerare una competizione propositiva e non pensare ad avvelenare i pozzi di chi combatte, con metodi e inclinazioni diverse, la nostra stessa battaglia. Dicevamo le librerie non conformi e le associazioni. Sono dei punti fisici di aggregazione che forniscono una base di partenza fortissima. Si reggono sui militanti cioè su uomini e donne che hanno una volontà e che rappresentano un esempio. Ecco il primo punto cioè la necessaria rivalutazione della figura del militante. Nel corso degli anni, nonostante il grande proliferare dell’offerta culturale soprattutto in campo librario, si è poco valorizzata la loro figura. Il militante politico culturale è chi ha una visione metapolitica dell’esistenza, deve camminare con i libri e le riviste tra la gente. Le persone attraverso la figura del militante – che deve tornare ad essere una figura socialmente riconoscibile e degna di rispetto – devono familiarizzare con i libri e le proposte culturali da loro provenienti. Devono riscoprirli come elementi propri della nostra cultura, maneggiarli e abituarsi ad essi. Ecco perché ad ogni nascita di librerie alternative o associazione non conformi sui territori, si accende la cagnara degli sgherri a guardia del pensiero unico dominante. Ogni serranda che si alza, ogni militante che propone la lettura di un testo piuttosto che di una rivista non allineata, è un colpo sferrato al sistema oppressivo liberal-democratico e unipolare. Se i nostri nemici hanno gli influencer da milioni di contatti virtuali, noi dobbiamo rispondere con migliaia di militanti con centinaia di contatti reali. Senza però storcere il naso nel caso anche tra le nostre fila nasca un “modello” paragonabile agli influencer globalisti. Non dimentichiamoci che attraverso i circuiti militanti, moltissime delle nostre case editrici ricevono quella base di vendita necessaria alla prosecuzione della loro attività, tra mille peripezie e rinunce. Ora l’obiettivo è l’allargamento di questi numeri sia attraverso l’incremento della rete militante e sia con il superamento dell’argine, arrivando ad un pubblico finora non raggiunto ma che non aspetta altro. Sono migliaia coloro che sono già mentalmente e culturalmente pronti ma non sanno ancora di esserlo. Esistono migliaia di consimili a cui le nostre onde radio non arrivano. Dobbiamo diventare tutti degli amplificatori del pensiero non conforme, tradizionale e identitario. Bisogna allo stesso modo recuperare alcune abitudini pratiche, ripristinare delle prassi d’azione, che con l’arrivo di internet si sono perse. In particolare, un tempo si comprava dalle cosiddette “librerie d’Area” non solo testi e riviste appartenenti ad una certa visione del mondo, ma anche testi disimpegnati o comunque non “nostri”. Questo era un modo per sostenere non solo dal punto di vista economico tali realtà, ma soprattutto alimentava la presenza umana all’interno di questi fondamentali punti di aggregazione, creando attrattiva per i tanti che sempre di più sono vittime dell’isolamento patologico imposto dall’ideologia del distanziamento sociale.

Il dibattito in rete
Parte sempre più importante riveste nell’opera di diffusione del pensiero, quella legata ai siti e alle pagine social. Anche nel virtuale si ripropone la stessa parcellizzazione che troviamo nella vita reale delle nostre Comunità, anzi in questo caso il fenomeno sembra manifestarsi in maniera ancora più netta. Per noi non è certo questo il problema fondamentale, piuttosto lo è l’assenza di adeguata forza per imporre la creazione di un dibattito di matrice culturale e politica sui temi a noi cari. Non è il fatto di essere atomizzati il primo problema ma di non riuscire a convogliare questa forza. Siamo spesso costretti a turarci il naso e appoggiare l’uscita estemporanea del giornalista o del personaggio pubblico, su un determinato argomento oggetto di dibattito in un dato momento, che per una volta sembra darci ragione pur essendo a noi estraneo. Questo accade perché non abbiamo la forza di imporre i nostri interlocutori. Eppure ve ne sono numerosi e per giunta validissimi. Siamo costretti nostro malgrado, a “parlare per bocca altrui”. Sforzarsi di porre rimedio a questo è un grosso passo in avanti. Potremmo provare a ragionare come una valanga, ammesso che la valanga possa farlo. Sappiamo che in quota ogni valanga parte dall’essere “sassolino” o comunque entità non enorme come quando essa scende a valle. Se al momento giusto ogni “sassolino” comprendesse la necessità di divenire valanga e di travolgere i nemici della Tradizione, non solo riusciremmo a ridurre l’asimmetria di forze in campo, ma saremmo in grado di parlare senza bisogno di terze figure. Non abbiamo bisogno di intermediari. Dal punto di vista dell’azione è necessario utilizzare alcuni criteri che migliorino e rendano sempre più efficace la nostra azione. Prima di tutto la conoscenza e la pubblicizzazione di pagine social e siti internet curati da singoli esponenti della cultura non conforme. Se i numeri di queste pagine aumentano, inevitabilmente anche la loro voce può riuscire a sentirsi più nitida. Questi siti svolgono un lavoro enorme di analisi e di proposizione di sentieri d’azione che rendono la vita digitale – ma non solo quella – molto più semplice ai meno avveduti. La struttura dei social è fatta in maniera particolare e purtroppo ben pochi di coloro che li utilizzano, ne comprendono la complessità dei meccanismi. Quindi la mannaia censoria scatenatasi nel corso di questi anni ha prodotto numerose vittime. Bisogna comprendere gli errori di comunicazione fatti e farne tesoro. Quindi all’interno di questa analisi bisogna anche farsi la domanda del “come bisogna approcciarsi ai social”. In coerenza con quanto detto precedentemente, prima di tutto non dobbiamo più aiutare il nostro nemico perpetuando lo stereotipo che ormai è funzionale alla narrazione liberal-globalista. Rifiutare i cliché, le etichette che tanto piacciono ai nostri nemici e che gli consentono di incasellarci nella loro schematizzazione. Dobbiamo pensare ogni volta come stupire, spiazzare, disorientare. Uscire dalla logica tipica della modernità che alla coerenza del pensiero debba corrisponderne una legata all’immagine. Siamo nella post modernità e tutto è cambiato. Quindi nel regno del liquido o meglio del gassoso che è internet, con tutti i suoi algoritmi e tranelli, non bisogna agire come truppe regolari ma come guerriglieri.
Ripartire dai territori
Oltre a concentrarsi sui metodi e sui mezzi riguardanti la “trasmissione a distanza” della cultura non conforme, è doveroso porre attenzione all’importanza dei territori. Studiare e pianificare ogni aspetto riguardante la pubblicizzazione, e la difesa anche dal punto di vista fisico, delle nostre idee sia negli eventi di settore che nelle manifestazioni locali. La nostra Nazione è il territorio dei campanili, e in particolare a partire dalla primavera, è da sempre presente il fenomeno delle rassegne culturali. Da esse nasce quindi la necessità di costituire i “cartelloni” e ovviamente, le squadre di lavoro atte alla loro messa in opera. Se ci riferiamo a ciò che accade oggi per riuscire ad invertire la rotta, non possiamo non partire dalla constatazione che localmente sono possibili progetti, che ci sono per il momento preclusi a livello più grande. Il discorso inevitabilmente si aggancia al livello della classe politica sui territori, e sulla reale distanza di quest’ultima dalla cultura di regime. A questo punto però il quadro da rappresentare sarebbe troppo vasto, e le considerazioni scendendo nel particolare, non farebbero altro che acuire i settarismi e i particolarismi. Per questo motivo ce ne teniamo fuori. Non è certo polemizzare il nostro obiettivo. Proviamo invece a partire dal presupposto che ci sono ampi spazi di manovra fuori dalle metropoli. Inoltre vi sono nella provincia più o meno profonda, molti esponenti politici espressione del territorio che forti anche di una formazione militante, hanno le competenze e le capacità per svolgere ruoli importanti in ambito organizzativo di kermesse culturali. Ve ne sono già state prove di tale dinamismo, ma vi è mancato l’adeguato supporto. Abbiamo già accennato a quanto ad un certo tipo di area politica piaccia compiacere i propri avversari. Ma noi non abbiamo avversari, abbiamo dei nemici. E quindi noi siamo assolutamente immuni da qualsiasi senso di subalternità o sudditanza. Noi non vogliamo compiacere nessuno tantomeno il nostro nemico. Sappiamo per certo che la melassa liberaldemocratica non è più in grado di produrre alcunché, che il loro mondo postmoderno è destinato al fallimento, e che questo altro non è che il frutto della loro distorta visione del mondo e dell’esistenza. Tutto il vasto campo culturale ed artistico a noi consimile deve potersi imporre nelle manifestazioni, attraverso una adeguata opera di supporto da parte di tutti gli ingranaggi, nessuno escluso. Se tutti gli attori culturali ad esempio facessero quadrato per la messa in opera di un determinato programma su un territorio, il sistema al momento egemone non riuscirebbe a tenere a freno tali tendenze se non a discapito della manifestazione stessa. Sarebbero costretti ad alzare ancora di più il livello dello scontro vietando le partecipazioni, creando liste di proscrizione e facendo ricorso ad ogni metodo censorio possibile. Ma in tal guisa anche le manifestazioni più floride e meglio costruite si vedono diminuire, fino alla completa estinzione, le proprie energie culturali. Questo è il paradosso di chi nega la diversità propugnando l’uniformazione del pensiero. L’assenza di dibattito, di conflitto, di scontro delle Idee crea soltanto la morte della cultura e delle manifestazioni pratiche in cui essa da sfoggio di se. Lo scontro crea interesse, è dinamismo. Lo scontro attrae. Il pensiero unico genera pattume culturale. L’omologazione è un continuo ripiegare su se stessi, e finisce per esaurirsi per consunzione. Quindi in primis vi è la necessità di prendere parte a tutte le manifestazioni organizzate dal sistema culturale dominante, e di non farlo in maniera sporadica ma in blocco. Chi ne prende parte non collabora con il nemico ma lavora per la sua distruzione. Aprire delle brecce ed inserirsi come cunei. Allargare le crepe esistenti fino al punto da far crollare la difesa del fortino. Uno dei punti di forza del nemico è proprio quello di contare sulla divisione del campo avverso. Se ci si sforza anche solo per ragioni di ordine tattico o strategico, di ignorare le piccolezze che ci dividono – anche con chi fino a qualche anno fa era calcolato come appartenente alla sponda opposta – e diamo la nostra attenzione sulle affinità culturali e valoriali che ci uniscono, allora il sistema che è già morente, creperà del tutto. Un secondo ma non meno importante aspetto, è quello della creazione ex novo di eventi culturali. Ed è in questi che si possono raggiungere ancora meglio gli obiettivi di diffusione del pensiero non conforme. Mentre nella partecipazione alle kermesse di sistema vi è l’intenzione di “inquinare i pozzi”, e di rappresentare che esiste una via realmente alternativa al pensiero unico dominante, nello sforzo verso la creazione di nuovi eventi si può mettere in campo tutto ciò che si ha. Sperimentazione anche estrema, di forme di comunicazione artistica e culturale, nulla ci è precluso e non esistono ambiti che non ci appartengano. Siamo padroni del nostro destino e bisogna dimostrarlo con fatti concreti. Creare dei cortocircuiti culturali.
Conclusioni?
Ovviamente questo breve scritto non ha alcuna valenza. Sono considerazioni di un “muratore della meta-politica” che ha ormai superato la metà del suo cammino. Più che altro hanno un valore di testimonianza di un percorso personale, che può essere più o meno condiviso da chi ha avuto la pazienza e la bontà di leggerlo. Di certo il discorso non termina e il mio scopo è fondamentalmente quello di provare a generare una discussione e di fare in modo che persone migliori e più valenti di me, si mettano alla testa di una controffensiva culturale a cui io nel mio piccolo mi unirò prontamente. Se siamo davvero d’accordo sul fatto che essendo noi uomini della Tradizione in assenza di Tradizione, e che questi tempi non ci appartengono, abbiamo la necessità di studiare e mettere in pratica ciò che – tra gli altri – Evola, Guenon, Nietzsche e oggi Aleksandr Dugin ci dicono, fino alle estreme conseguenze. Personalmente sono attratto dalla prospettiva culturale e politica eurasiatista, la sola che sembra poter portare ad una Rinascita. Un percorso arduo e affascinate, che necessita di tempo e di gambe salde e forti per poter battere sentieri impervi. Per cui mi auguro che non si voglia perdere più tempo a concedere “linee di credito” o a stracciarsi le vesti per ottenere qualche strapuntino.
Emanuele Campilongo
