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La battaglia per il mondo multipolare passa per la cultura. (1 parte)

La battaglia per il mondo multipolare passa per la cultura. (1 parte)

I tempi che viviamo e le catastrofi che si succederanno, non consentono più di avere un atteggiamento accondiscendente o di indifferenza, verso le storture che alimentano il sistema mediatico e culturale. Esso ha enormi responsabilità rispetto alla situazione che stiamo attraversando. Abbiamo il dovere di svelare ogni opacità, di spazzare via le tenebre, accendendo non una ma mille fiaccole, per fare in modo che la luce vinca. Questo vuol dire fare una grossa forzatura anche dentro di noi. Dobbiamo eliminare ogni residuo di ambiguità, ogni connivenza ed ogni benevolenza mal riposta. Bisogna avere il coraggio di tagliare ogni collegamento, per quanto minimo sia, con i gangli del potere liberal-globalista. Esistono delle domande che nessuno vuole porre pubblicamente, poiché le risposte non sono compatibili con la narrazione dominante. La cosa assurda è che queste domande spesso, troppo spesso, non vengono poste nemmeno da chi è orgogliosamente – almeno a parole – nemico “della società aperta”. Questo perché in maniera scientifica, il blocco culturale dominante lavora come un grande magma, che di tanto in tanto si può permettere – al fine di rendersi più forte e ipocritamente rispettabile – di inglobare qualche “corpo estraneo”, al fine di renderlo organico al disegno. Non vi è bisogno di fare esempi diretti e personali, poiché è proprio nella spersonalizzazione, nella creazione di un modus operandi standard e nella visione d’insieme, che il meccanismo prosegue e si auto-alimenta. Basta individuare qualche intellettuale apparentemente dissidente, oppure qualche giornalista proveniente da un brodo di coltura non propriamente in linea con i dettami del politicamente corretto, e metterlo al servizio della narrazione dominante, con il compito di rappresentare “l’altro”. L’opinione difforme. L’altro lato del potere. Si richiede in sostanza di recitare una parte nella commedia. Essa la si può recitare coscientemente oppure no, almeno per un breve periodo. Poi con il trascorrere del tempo ogni alibi cade. Non si può lavorare a lungo per chi distribuisce le carte in tavola, e non rendersene conto a meno che non si sia sprovveduti o peggio in malafede. Ed è a questo punto che bisogna fare i conti con la realtà e liberarsi delle ambiguità e dei sentimentalismi. Mettiamo il caso che un nostro amico, una persona con la quale abbiamo condiviso una parte di cammino in nome di determinate idee, riesca ad occupare un posto di rilievo in una redazione giornalistica nazionale. La prima reazione che possiamo avere è quella della felicità, poiché confidiamo in lui e lo immaginiamo come un combattente per il cambiamento, a cui non dobbiamo far mancare il nostro supporto. Nel caso in cui però a distanza di tempo, questo presunto combattente non abbia esploso nemmeno una cartuccia, non si sia reso protagonista di nessuna impresa e non abbia partecipato ad alcuna battaglia, abbiamo il dovere di dichiararlo nella migliore delle ipotesi, un imboscato. Può succedere che egli cambi addirittura versante e con somma sorpresa nostra ma non di chi lo ha inglobato, egli inizi a cannoneggiare pesantemente il versante che almeno in teoria avrebbe dovuto difendere. Ne ha esaustivamente parlato Guillaume Faye del particolare fenomeno masochistico di certi ambienti politici, tutti intenti a cercare l’applauso dal campo avverso. Accade pressappoco ovunque in Europa. Noi in Italia abbiamo, per quanto concerne la carta stampata e i Media in generale, la particolarità della totale assenza di un organo di stampa che non sia di ispirazione liberale. Come ha ben detto Aleksandr Dugin, secondo i dettami del pensiero unico dominante, si può essere liberali di destra, di centro o di sinistra. Ma non si può non essere liberali. Quindi nonostante l’effervescenza del nostro mondo dal punto di vista meta politico, i nostri giovani per poter scrivere o comunque lavorare nel campo dei Media sono costretti a farlo su mezzi la cui linea editoriale è il più delle volte, configgente ai nostri pensieri. Questo ci porta ad essere marginali, almeno da quel punto di vista. Ma la nostra marginalità aumenta se continuiamo a tenere aperta la linea di credito nei confronti di certi giornali o certi giornalisti poiché li avvertiamo come meno ostili. Non dobbiamo accontentarci di essere rappresentati, per giunta sporadicamente – da persone meno ostili, dobbiamo pretendere di esserlo da nostri reali consimili. Per fare questo dobbiamo cambiare i rapporti di forza. Non ce lo concederanno mai per grazia ricevuta. Dobbiamo lavorare per imporci.

Definizioni fondamentali

Siamo dell’avviso che prima di addentrarci in una visione più specifica dei singoli aspetti, sia necessario effettuare una più completa definizione dei termini della questione legata alla guerra culturale in corso. Cosa intendiamo quando utilizziamo la formula “pensiero unico liberal-globalista” ? Da dove deve prendere le mosse il “pensiero non conforme” per portare avanti la sua controffensiva? Definire meglio questi concetti aiuta indubbiamente a rendere chiaro il lavoro da fare. E’ logico che questa come tutte le schematizzazioni, è accusabile di eccessivo semplicismo e che tra le pieghe di tale classificazione, vi siano ulteriori spazi di analisi e di manovra. In tal modo però si determinano i confini, si evitano fraintendimenti e soprattutto si inizia il lavoro. Poiché è l’azione che ci interessa. Il cosiddetto “pensiero unico” è il sistema culturale e valoriale dell’occidente americano-centrico, creato esclusivamente per il mantenimento dell’egemonia yankee. Per manifestarsi come tale, esso si è servito nel corso dei secoli del lavoro svolto dalle varie catastrofi succedute dalla fine dell’Impero Romano, passando per la Rivoluzione dei Lumi fino alla comparsa delle caterve allogene, e alla snaturalizzazione dei contesti sociali ed etnici dell’Europa. Quindi arriviamo ad oggi con l’apparizione della “cultura della cancellazione”, e con i tentativi di criminalizzazione di tutta quella cultura europea non compatibile con tali devianze. Detto questo, il pensiero non conforme per essere realmente tale non può che avversare sia dal punto di vista culturale e sia dal lato geopolitico, tutto ciò che conduce al mantenimento dell’egemonia americana. Quindi in parole più nette o il pensiero anticonformista, non conforme, antagonista etc. diventa eurasiatista o semplicemente non è. Poiché è l’eurasiatismo l’unico sistema culturale, valoriale e politico in grado di poter mettere in discussione i capisaldi del pensiero unico. Bisogna ragionare e muoversi mantenendo di pari passo sia l’aspetto filosofico e culturale con quello geopolitico. E iniziare ad occupare gli spazi. Bisogna partire da una presa di coscienza chiara. I nostri nemici non si accontentano più di relegarci ai margini, vogliono la nostra distruzione, la cancellazione di quanto da noi affermato negli anni. Con ogni mezzo, nessuno escluso. Di fronte a noi abbiamo due strade, o la difesa della nostra libertà con tutto ciò che ne consegue, oppure smettere di lottare. Sicuramente è la prima ipotesi quella che ci appartiene, la nostra è una scelta di libertà dettata da motivazioni antropologiche prima che culturali. Per chi ha la nostra visione del mondo, il concetto di libertà non è calato dall’alto, non ci viene dato per grazia ricevuta ma bensì è frutto di una lotta vittoriosa. La libertà è bella perché deve essere conquistata.

Gli spazi cartacei: i quotidiani

Senza volere andare nello specifico delle analisi su quale ruolo possa svolgere la stampa nella società della post modernità, è oggetto della nostra osservazione l’inesorabile declino, in termini di diffusione, dei quotidiani. Indubbiamente il ruolo di internet e quello dei social hanno avuto una parte importante in questa lenta e apparentemente inesorabile caduta, ma non è certo solo ascrivibile a questi due fattori. Rimanendo strettamente legati all’ambito culturale, abbiamo visto in questi anni la drastica riduzione del numero delle pagine e la modificazione-involuzione delle stesse, in maniera più o meno dichiarata, a spazi riempiti con contenuti quasi esclusivamente a pagamento. Insomma fare cassa prima di tutto. Ma partiamo dal ruolo che le pagine culturali rivestono all’interno di un quotidiano. Ogni giornale ha una propria linea editoriale che è disegnata più o meno secondo gli indirizzi politici di riferimento e al contempo, in linea con gli interessi di carattere economico dell’editore. Quindi almeno in termini di pura teoria, le pagine culturali di un giornale si rivolgono alla parte maggiormente cosciente, formata e meno instabile politicamente o quantomeno meno incline al cambiamento d’opinione. Per rendere la cosa ancora più chiara, le pagine riservate al dibattito culturale, sono improntate “da e per” le elite dei singoli schieramenti. All’interno di queste elite si svolge in maniera più o meno evidente una sorta di anestetizzato conflitto per l’egemonia, che però non arriva mai all’esasperazione e al punto di rottura. Quindi è necessario provare ad aumentare le possibilità di cortocircuitare questa dinamica con ogni mezzo, e sconvolgere questo stato di cose. Quindi tornando al ruolo che le pagine culturali dovrebbero svolgere all’interno di una testata, siamo di fronte non più ad un laboratorio o meglio di un terreno di confronto tra teorie e modi d’essere, ma di una vetrina, dove non conta la qualità di ciò che si espone ma la quantità. E allora andiamo a vedere questa quantità. Abbiamo fatto per un breve lasso di tempo, una indagine su tre quotidiani definibili come conservatori nel senso liberale del termine. Quindi prendiamo subito atto che dal punto di vista dei valori e della “visione del mondo” nulla o quasi ci lega a questi e che quindi fondamentalmente essi nulla ci debbano. Se non fosse che, per il discorso svolto nella “premessa”, riguardo alcuni giornalisti provenienti dal nostro alveo, ci si aspetterebbe un minimo di rappresentazione di certi testi e di determinate tematiche. Magari per il solo gusto della provocazione culturale o della creazione di un dibattito. I dati che sono scaturiti da questa indagine sono impietosi. Su 130 opere citate corredate dall’indicazione del numero di pagine e soprattutto della casa editrice, solamente il 5% sono ascrivibili alle cosiddetta “editoria non conformista”. Praticamente le briciole, mentre percentuali ben maggiori sono dedicate a testi e pubblicazioni di case editrici della sinistra liberal-globalista. Ciò non fa altro che confermare che fuori dal circuito del liberalismo sia esso di destra o di sinistra non si deve uscire.

Le case editrici

Abbiamo un vasto e prolifico mondo di case editrici anti conformiste. Esse rappresentano le fondamenta necessarie su cui innestare qualsiasi discorso di controffensiva culturale. Ovviamente alla grande varietà non corrisponde una adeguata grandezza dal punto di vista strutturale. Si parla dunque di decine di piccole case editrici più o meno militanti, che con incredibile dedizione affrontano le difficoltà sia dal punto di vista dell’aggiramento dell’ostracismo del sistema culturale dominante, e sia della mera sopravvivenza economica. Questo variegato fronte ha bisogno, per rendersi saldo e culturalmente influente, di fare blocco e di aumentare i propri numeri. Parliamo semplicemente dell’aspetto numerico poiché dal punto di vista della proposta culturale non vi è nulla da aggiungere. In questo universo si può trovare ottimo materiale, adatto per tutte le sensibilità. Semmai c’è da alimentare la voglia di coordinazione e anche di contaminazione. Vi sono case editrici con decenni di attività alle spalle e centinaia di titoli in catalogo, e con una storia ben delineata. Al loro fianco soprattutto negli ultimi anni, sono nate decine di case editrici più giovani che ne hanno raccolto il testimone, e che hanno modificato anche gli argomenti oggetto delle pubblicazioni. Un aspetto essenziale dell’opera delle nostre case editrici, risiede nel fatto che esse tengono “a catalogo” anche a distanza di molti anni, le opere pubblicate. Questo consente ai libri di rimanere vivi e di mantenere l’attenzione su testi che altri vorrebbero destinati alle catacombe. Questa cura deve essere maggiormente evidenziata attraverso un continuo movimento di recupero di opere passate, di un loro aggiornamento dal punto di vista dei contributi esplicativi e introduttivi e degli apparati di note a margine. Quindi è necessario non solo dare attenzione alle nuove opere ma curare come fossero piante, bisognose di nutrimento e attenzioni, anche le opere uscite nel corso del tempo e rinvigorirle. Anche con questo si alimenta il dibattito e si tiene alto il livello. Un tempo quando le prime case editrici nascevano sull’onda di una determinata visione del mondo, e spinte anche dalla necessità di difendere e rivendicare una scomoda scelta di campo, non esisteva ancora “il lettore”. Nel senso che non esisteva il pubblico consapevole di appartenere ad una certa matrice e pronto ad abbeverarsi a quella fonte. La grande opera di questi pionieri ha oggi portato ad avere un pubblico consolidato e che va solo ampliato, ma la grande opera di creazione è stata fondamentale. Bisogna rendere merito a chi ha edificato queste solide basi. Nella guerra culturale in atto l’editoria è l’artiglieria del pensiero. Nessuna strategia può prescindere da questa considerazione e proprio l’aspetto legato alle case editrici, appare come il segmento maggiormente strutturato da cui far partire la nostra azione. Esse svolgono un lavoro enorme, simile ad un server che mette insieme il lavoro di centri studi, associazioni, ricercatori e semplici appassionati. Un grande e organico lavoro di selezione, studio oltre che di pubblicazione. A tale lavoro va offerta una rete o meglio il ripristino di una “collaborazione feudale” a cui tutti i potenziali lettori possano attingere con facilità. Esiste una sterminata prateria composta in particolare da giovani, che finora è costretta a sorbirsi il pattume culturale presentato dal mainstream, ma che è desideroso di contenuti ardenti e veramente alternativi. Alcune delle case editrici della nuova generazione hanno ben capito che è importante darsi un aspetto più aggressivo, non solo dal punto di vista contenutistico ma anche dal lato dell’immagine. I giovani sono inevitabilmente attratti da tutto ciò che è rottura di schemi precostituiti, trasgressione e ribellismo. Tutti abbiamo attraversato questa fase. Le nostre case editrici sono il mezzo attraverso il quale far comprendere ai giovani che oggi la vera trasgressione sta dalla nostra parte, nel mondo della Tradizione. Oggi non vi è nulla di più trasgressivo e controcorrente di chi combatte contro il pensiero unico liberal-globalista. Indubbiamente il mondo dei libri ha contatti con quello della carta stampata – e abbiamo visto anche numericamente in che modo – per provare a aumentare la diffusione, ma il blocco censorio e la guerra culturale in atto rendono del tutto residuale la nostra presenza nonostante la dinamicità e l’effervescenza delle nostre case editrici. Quando poniamo qualche domanda fuori da telecamere e registratori, a qualche addetto ai lavori sul perché di tale ostracismo verso alcune etichette, una delle risposte che ci viene data è relativa alla tenuta in catalogo di testi scabrosi, maledetti e impresentabili. Per cui ci si viene a dire con un fare spesso pretestuoso, che non è possibile dare spazio all’ultima uscita se pur lodevole e ben fatta della casa editrice X, poiché essa ha in catalogo testi ritenuti indegni. Fintanto che una tale risposta ci viene data da membri appartenenti al campo avverso ha un senso, ma quando a fare affermazioni di questo genere sono esponenti legati in qualche modo al nostro mondo il problema si ingigantisce. Ritengo di non poter sviscerare interamente la questione, che può essere oggetto di una analisi da varie angolazioni ma una cosa voglio dirla. Sono proprio quei testi e quegli autori “maledetti” a fornire anno dopo anno la possibilità di poter continuare a stampare sempre nuove proposte. Quei testi e quegli autori si vendono e consentono di andare avanti a tanti piccoli editori. Quindi la sostanza è che il nemico vuole la nostra resa senza condizioni, e quindi pretendono la spoliazione e l’abiura di tutto il nostro bagaglio storico e culturale. Con la promessa di accedere, una volta depurati, ripuliti e allineati, alle pagine dei giornali e alle facoltà universitarie.

Emanuele Campilongo

Author: identita e territorio