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Sabino Morano – Covid, Stato e Popoli
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Sabino Morano – Covid, Stato e Popoli

Ormai è quasi un anno che abbiamo a che fare con pandemiche vicende e, tutto sommato, sulle stesse si è detto tutto ed il contrario di tutto, ognuno ha una sua verità più o meno strumentale ai propri interessi o alle proprie convinzioni. L’unica cosa che sicuramente questa storia del Covid 19 ci ha fatto capire è che in Italia la reattività media della gente alla soppressione delle libertà individuali e politiche è pressoché inesistente; non che sia avvenuto un colpo di stato, intendiamoci, ma netta è la sensazione che, qualora qualcosa di simile dovesse accadere, sostanzialmente nessuno si scomporrebbe più di tanto.

Abbiamo sostanzialmente acconsentito passivamente al divieto di partecipare alle funzioni religiose, assistito alla nascita di una prassi istituzionale basata sul binomio DPCM-conferenza stampa che esclude il parlamento, ritenuto sempre più inutile orpello retaggio folkloristico di tempi che furono; salvo qualche intemperanza partenopea, immediatamente attribuita dalla narrazione ufficiale ad una regia camorristica, abbiamo disciplinatamente sofferto una politica di selezione economica che ha di fatto condannato a morte una serie di piccole attività in favore delle grandi distribuzioni; solo per citare alcune tra le arbitrarie limitazioni che il popolo italiano si è fatto imporre, pagando il dazio resistenziale di qualche donchisciottesca uscita di Sgarbi e delle improbabili minacciate sollevazioni dei Pappalardo boys.

Molti, per questi nostri lidi, sono rimasti per tanto fortemente colpiti dalla gigantesca manifestazione di piazza contro le misure antiCovid che, con tanto di scontri violenti a corredo della stessa,  nei giorni scorsi è andata in scena nella proverbialmente disciplinatissima Berlino; un luogo che, per molti osservatori di casa nostra, risponderebbe allo stereotipo dell’ordine e del teutonico senso del dovere rispetto allo Stato ed alle sue leggi.

I sacerdoti della nostra informazione ufficiale restano quindi percossi, attoniti e spiazzati, non potendo ricorrere al solito lemma degli italiani fanfaroni ed incivili contrapposti ai tedeschi ligi e rigorosi. Probabilmente qualcuno di loro avrà pure pensato di sostenere che dietro tali sconcertanti accadimenti  vi potesse essere la diffusione epidemica di un nuovo virus negazionista o la regia della nota camorra berlinese… ma non regge; forse si potrebbe dare la colpa all’estrema destra ed ai neonazisti, ma bisognerebbe contestualmente sostenere che Berlino sia stata teatro di una manifestazione con decine e decine di migliaia di nostalgici del Terzo Reich e pure pare brutto.

Per noi che non siamo giornalisti del mainstream e non abbiamo l’obbligo di attenerci ad una narrazione politicamente corretta, la spiegazione del comportamento dei tedeschi è abbastanza chiara e sicuramente comprensibilissima.

Come opportunamente osservava al riguardo Alessandro Sansoni è certamente verissimo che a monte della grande protesta c’è una questione molto radicata nel profondo sentire del popolo tedesco, e cioè i provvedimenti della Merkel; perché i provvedimenti adottati dalla cancelliera Merkel tramite la “Gesundheitsgesetz” (legge sulla sanità) alterano profondamente la “Grundgesetz”, la Costituzione (Legge Fondamentale) della Bundesrepublik:  “Oltre ad alcune limitazioni importanti dei diritti civili e costituzionali (cose che noi già conosciamo), le nuove norme federali modificano nella sostanza le competenze dei Laender, sottraendo loro potere e non solo in ambito sanitario. Occorre capire che il federalismo regionale tedesco non è roba da baraccone come quello italiano. È un’impostazione ideologico-costituzionale alternativa all’approccio “Grossdeutsch” che in parte, ma solo in parte, rese possibile l’unificazione tedesca e che è stato poi ritenuto il sostrato culturale su cui venne configurato il Terzo Reich, interpretato da molti, dopo il ’45, come una “prussianizzazione” della Germania. La messa in discussione dell’architettura istituzionale “Bundisch” (traducibile con federalista, ma c’è molto di più) ha dunque un impatto dirompente sulla società tedesca e non è una questione di lana caprina, anche perché da quelle parti le leggi e la Costituzione  sono cose molto serie e certi cambiamenti non vengono né fatti, né subiti con superficialità..”.

Fermo restando questo, a mio parere, ragioni profonde che determinano dette forme di reattività risiedono anche nell’approccio del tedesco medio allo Stato che è tipicamente di impianto idealista. Perché se è vero che Otto Von Bismarck ha fatto la Germania, è altrettanto vero è che il suo popolo lo hanno fatto i grandi pensatori.

I tedeschi superano la concezione federalista solo allorquando riconoscono nello Stato una autorità che sia compresenza della legge e della volontà che si fa legge. La tecnocrazia pseudoscientifica dei provvedimenti anticovid, non è una “volizione legale” e nemmeno una “legge voluta”: risulta un elemento estraneo e quindi illegittimo.

Per cui accade che lo stesso popolo che, in alcune circostanze, riconosce la “legge” sviluppando un proverbiale atteggiamento di “dovere nazionale” ( che supera lo spirito “federalista”), non riconoscendone la “legittimità”, in altre e diverse occasioni, reagisce in maniera estremamente energica.

Noi che invece in Italia siamo stati abituati a non essere “nazione”, ed a considerare la legge, non come espressione dinamica di volontà collettiva, ossia libertà dell’individuo che si fa Stato, ma come mero autaritarismo, subiamo passivamente qualunque imposizione nella condizione di sudditi.

Probabilmente questo nostro atteggiamento collettivo rispetto allo Stato, che determina specularmente una sostanziale assenza di reazioni rispetto a pur ingiustificatamente afflittivi provvedimenti, è ascrivibile ad un determinato processo storico culturale.  Il tentativo, in parte riuscito, di una spregiudicata intellettualità che per molti anni è stata egemone nel Paese, di sostituire la Resistenza al Risorgimento come mito fondativo nazionale (circostanza opportunamente sottolineata da Mario Landolfi nel suo ultimo libro), ha scavato un mai colmato solco divisivo nel profondo della Nazione.  Per certi versi è come se il disegno della Storia che stava faticosamente trasformando l’unità d’ Italia, che a tutti gli effetti era stata una sanguinaria  guerra di conquista, in un processo costitutivo Popolo-Stato-Nazione, avesse subito una violenta cesura per mezzo di un nuovo elemento divisivo, non più territoriale ma ideologico.

La Resistenza come mito fondativo divisivo ha rappresentato il peccato originale della Repubblica che non è riuscita a diventare autorevole (ovvero riconosciuta dal popolo tutto che realizza se stesso nello Stato) ma soltanto autoritaria.

Di conseguenza l’individuo non riconoscendo nello Stato la propria volontà e quindi la propria libertà è portato a subirne le imposizioni considerandolo altro da sé, un Leviatano impositore contro il cui autoritarismo burocratico non conviene schierarsi, almeno fino a che le stesse imposizioni siano sopportabili. 

Author: identita e territorio